Jazzitalia parla dei Bija
Se tutto inizia con un soffio primordiale opportuno sarebbe, nel caso di questo riuscito esordio discografico, socchiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dal suono propulsivo dei Bija.
Non poteva che dissolversi in una vibrazione il viaggio inaugurale del trio salentino che vede Gabriele Di Franco (guitar and loops), Francesco Pellizzari (drums and percussions) e Marco Puzzello (trumpet and flugelhorn) emergere nel panorama musicale contemporaneo, con un progetto che mette a fuoco tutte le caratteristiche di chi vive per fare musica con una padronanza della materia sonora, allo stesso tempo, estraniante e totalizzante.
Non a caso Bija focalizza l’attenzione dell’ascoltatore su un livello d’ascolto quasi secondario rispetto al canone di ricezione convenzionale: è musica libera che arriva senza predestinazione, restando fedele alla vita; per questo il messaggio che comporta è legato a un moto costante, un’oscillazione originaria che tratteggia, in quarantacinque minuti d’ascolto, un ambiente sonoro caratterizzato da un sound atipico, nella concezione tradizionale del trio, e capace di condensare le diverse facce del jazz, della world music e dell’ambient music in un’esperienza del mondo verticale, autentica.
E’ con “Cipolla” che il paesaggio sonoro prende forma attraverso una stratificazione emotiva che disegna il ruolo rilevante di Di Franco nel portare avanti la mappa di un percorso musicale dissodato, per scelta, dalle facilità consce legate alla figura dell’accompagnamento musicale in senso “canonico” e che affianca, con classe, il malinconico lirismo di Puzzello alla bellezza di una cantabilità melodica ben più forte delle calibrate tensioni dinamiche di Pellizzari. Stesso buongusto che rimescola gli equilibri, in corso d’opera, laddove l’intervento mirabile di Mangia nel brano “AR” valorizza la costante co-creazione di chitarra e tromba in un pezzo dal sapore meditativo, estraneo dunque, a livello concettuale, a quella linea generale di emersione netta del sentimento data dalla mancanza, nei restanti brani, della connotazione evocativa propria della “fibra” vocale. Non lasciano indifferente “Gonna”, dal carattere intrigante in cui l’intervento, a tratti ghiacciato, del sax di Coluccia crea la risoluzione ideale di una miniatura responsoriale che muore troppo in fretta e “Inferenze” dall’umore circense che chiude il disco portando in superficie la necessaria sfumatura ironica di un progetto ambizioso da ascoltare, toccare, guardare.
Di senso, se ogni cosa inizia con una vibrazione. Con un suono, forse questo sono i Bija.
Antonella Chionna per Jazzitalia